Città del Vaticano - Erano tre missionari: due giovani francescani polacchi e un sacerdote diocesano italiano. Vennero uccisi nell’agosto 1991 in Perù, dai guerriglieri di “Sendero Luminoso”. Il 5 dicembre del 2015 furono beatificati come martiri uccisi “in odium fidei”.
A 10 anni dalla loro beatificazione, Leone XIV rende grazie per la loro testimonianza di fede, che può mostrare a tutti come solo guardando a Cristo «la missione ritrova la sua forma propria e la Chiesa ricorda il motivo per cui esiste». Lo fa in un Messaggio diffuso oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede.
«Avendo servito anche in quell’amato Paese» confida Papa Prevost «trovo in loro qualcosa di profondamente familiare per chi ha vissuto la missione e, al tempo stesso, essenziale per tutta la Chiesa: la comunione che nasce quando storie così diverse si lasciano riunire da Cristo e in Cristo, di modo che ciò che ciascuno è e apporta — senza smettere di essere proprio — finisce col confluire in un’unica testimonianza del Vangelo per il bene e l’edificazione del popolo di Dio».
Michał Tomaszek, Zbigniew Strzałkowski e Alessandro Dordi, i tre martiri di Chimbote - rimarca nel messaggio i Vescovo di Roma - erano persone diverse per storia, provenienza, temperamento. Ma in Perù condivisero «la stessa dedizione e lo stesso amore per la gente — in particolare per i più bisognosi — portando nel cuore, con affetto pastorale, le preoccupazioni e le sofferenze degli abitanti di quelle terre».Anche per questo «le loro vite, così come il loro martirio, possono essere oggi un invito all’unità e alla missione per la Chiesa universale». Perché «In un tempo segnato da sensibilità diverse in cui facilmente si cade in dicotomie o dialettiche sterili, i Beati di Chimbote ci ricordano che il Signore è capace di unire ciò che la nostra logica umana tende a separare».
Il sangue dei martiri di Chimbote - ripete il Pontefice - «non fu versato al servizio di progetti o idee personali, ma come un’unica offerta di amore al Signore e al suo popolo»E questo mostra a tutti la strada per «tornare a Gesù Cristo come misura delle nostre opzioni, delle nostre parole e delle nostre priorità».
I due francescani uccisi “in odium fidei” erano giovani trentenni. Il Papa sottolinea come proprio nella «gioventù a volte considerata inesperta o fragile, Dio ha ricordato ancora una volta alla sua Chiesa che la fecondità della missione non dipende dalla durata del cammino, ma dalla fedeltà con cui si percorre».
Guardando ai Martiri di Chimbote, Leone XIV invita i giovani del Perù e di tutto il mondo a «non aver paura» della chiamata del Signore» sia al sacerdozio, sia alla vita consacrata, «o anche alla missione ad gentes, per andare là dove Cristo ancora non è conosciuto». Il Successore di Pietro invita anche «anche il clero — specialmente i sacerdoti giovani — a considerare con generosità la possibilità di offrirsi come fidei donum, seguendo l’esempio del beato Alessandro», e incoraggia «i vescovi a sostenere l’ardore dei sacerdoti giovani e a soccorrere le Chiese più bisognose mediante l’invio fraterno di ministri che estendano la carità pastorale di Cristo là dove è più necessaria».